Da Detroit a Udine: alla Summer School in Stadia Management, organizzata da Udinese Calcio e ICRIM - Università Cattolica, è intervenuto ieri l’architetto americano Matt Rossetti. Un punto di riferimento nel panorama mondiale dell’innovazione degli impianti sportivi, progettista del nuovo stadio di Venezia e autore di opere architettoniche destinate allo sport e all’intrattenimento come il Palace Auburn Hills a Detroit e la Red Bull Arena di New York.
Mr Rossetti, questa Summer School in Stadia Management è ospitata alla Dacia Arena, uno dei pochi stadi moderni in Italia, cosa ne pensa?
“Sono rimasto colpito dalla qualità dell’impianto, ciò che è stato fatto alla Dacia Arena è il connubio perfetto tra innovazione e tradizione: è stato mantenuto lo storico arco della tribuna, un omaggio alla storia di questo luogo, ma attorno ad esso si è costruito qualcosa di nuovo e moderno. A Udine hanno corso un rischio imboccando una strada che in Italia si sarebbe dovuta intraprendere 10 o 15 anni fa, come successo nel resto d’Europa”.
Innovazione contro tradizione, è il dibattito su San Siro
“Se gli elementi storici non possono sposarsi in alcun modo con i moderni concetti di ospitalità allora mantenerli è una decisione sbagliata. A volte si è costretti a togliere l’emozione dal ragionamento, bisogna andare avanti perchè le nuove strutture possono essere così fantastiche da giustificare questo cabiamento”.
Come saranno gli stadi del futuro?
“Luoghidi grande accoglienza, indirizzati alle famiglie, che offrano un’esperienza confortevole in tutti i settori, dalle curve alla corporate hospitality. E’ quello che hanno fatto in Inghilterra con enorme successo, facendo quasi sparire il fenomeno degli hooligans. Quando hai ambienti degradati, mal curati, le persone si sentono libere di non rispettarli, è un concetto assodato. Per questo gli stadi devono essere interpretati come luoghi di ospitalità, migliorati con un “refresh” ogni tre anni e con rinnovamenti significativi ogni dieci, è un processo in continuo divenire. Serve inoltre un design che permetta e agevoli le persone a muoversi, a vivere momenti e contesti diversi all’interno dello stadio, in spazi dove magari stare in piedi o rilassarsi, mangiare o chiacchierare mentre la partita è in corso. Questo modo di vivere l’evento e il tifo è molto più radicato negli USA che in Europa, ma si sta facendo strada anche qui”.
Non solo partite però, i nuovi stadi vogliono essere vissuti sempre:
“Gli stadi moderni stanno diventando la nuove piazze, hanno spazi vivibili in ogni momento, le attività commerciali che vi sono ospitate sono aperte anche verso l’esterno per renderli fruibili quando non ci sono partite, e hanno spazi dedicati ad ospitare eventi o attività in tutti i giorni della settimana. L’idea è connettere lo stadio alla comunità, aumentandone il valore come punto di riferimento per tutti i cittadini, non solo i tifosi, che lo possono identificare come parte della loro realtà quotidiana”
Nel 2026 arriveranno le Olimpiadi, porteranno innovazione anche nelle infrastrutture?
L’assegnazione delle Olimpiadi all’Italia non deve dare falsi entusiasmi sul fronte delle infrastrutture, è indicativo il commento del Sindaco di Milano su San Siro perchè teme che il nuovo stadio non sia pronto in tempo. Mancano sette anni, in un contesto normale basterebbero due o tre anni per la progettazione e due per la realizzazione, in quattro/cinque anni si dovrebbe poter fare tutto. Mi preoccupa che la burocrazia non riesca a farsi da parte. Spero che le olimpiadi diventino un catalizzatore per permettere all’Italia di colmare il ritardo infrastrutturale che ha accumulato in questi anni, i tempi sono maturi”
Questa Summer School è una novità nel panorama italiano, come si sta affrontando l’argomento degli stadi del futuo?
“C’è un’alta qualità nell’analisi dei relatori e grande approfondimento sui dati, sugli “analytics”. Oggi l’industria dello sport ruota intorno ai dati, chi coglie questo fatto e capisce come raccoglierli e analizzarli è destinato ad avere un margine competitivo che significa successo.