Proseguono i lavori della Summer School in Football Stadia Management alla Dacia Arena, con un secondo giorno dedicato ad una visita completa dell'impianto e a una sua analisi approfondita.
A tracciare le linee guida che sono state seguite in fase di ri-progettazione del vecchio Friuli, per poi spaziare a 360 gradi sul tema degli stadi in Italia e in Europa, è stato il "papà" della copertura a diamante dello stadio dell'Udinese, Marco Casamonti.
"La ristrutturazione dello Stadio si è concentrata su un'idea di forza, di lunga durata. L'ispirazione viene dal Palazzo dei Diamanti di Ferrara - ha affermato Casamonti - un edificio che esprime il concetto di potenza che anche il Patron Pozzo mi aveva chiesto di ricalcare. Udine rappresenta un modello di operatività ed efficienza di grande valore, soprattutto per come si è deciso di intervenire sulla struttura: abbiamo voluto renderla più moderna mantenendo l'identità dello stadio, con il grande arco e la tribuna centrale. La copertura in acciaio, tra l'altro realizzata con aziende locali, ci ha permesso poi di rendere ancora più iconica la nuova Dacia Arena. Credo che questo sia uno stadio contemporaneo che rispetta i criteri di un edificio moderno, tra i quali c'è anche quello di essere vissuto tutti i giorni dell'anno come un luogo di incontro tra persone. L'esperienza maturata qui a Udine mi ha permesso di approcciarmi allo stesso modo ad altri progetti che stiamo seguendo, come quello del nuovo stadio di Tirana. Il grande gap che ci troviamo a scontare con altri paesi sono i tempi della burocrazia, troppo spesso legati a impedimenti di natura politica. Non può essere che i tempi di approvazione per un progetto superino quelli della sua realizzazione fisica".
Marco Casamonti si è poi soffermato sulla situazione italiana spiegando che "il dibattito sul tema degli stadi adesso è grande: basti pensare a due casi emblematici come quello del Franchi di Firenze e quello del Meazza a Milano. La mia risposta ai giornalisti che mi chiedono un parere è quella di imparate da Udine. Credo che sia necessario agire con intelligenza e con buon senso: lo Stadio di Firenze è un monumento e come tale va salvaguardato, ma per fare ciò va vissuto, abbandonarlo non è un buon modo per salvarlo. Renderlo più funzionale e fruibile, avvicinando ad esempio il pubblico al campo, invece sarebbe un modo per rilanciare anche la squadra. La nuova proprietà viola sembra voler percorrere questa strada e c'è stata anche recentemente un'apertura della Sovrintendenza.
A Milano il discorso è un po' diverso, perché lì le partite si vedono bene, non a caso è detto la "Scala del calcio" ed è pensato proprio per questa funzione. E' stato fatto però un passo avanti nel dibattito: inizialmente si era pensato di spostare lo stadio fuori dalle zone abitate salvo poi accorgersi che, sia per una questione di collegamenti che di "vivibilità" dell'edificio, la scelta migliore sia quella di mantenerlo all'interno della zona urbana. Si pensa però che abbattere il Meazza per ricostruirlo da zero possa essere più economico e più facile: è vero solo in parte perché costruire da zero ha dei vantaggi evidenti, ma se ci soffermiamo sul carattere dell'eco-sostenibilità della demolizione e su quello della monumentalità dello stadio, la bilancia pende fortemente dalla parte di una ri-qualificazione del vecchio impianto. Va assolutamente fatto uno sforzo anche per mantenere il rapporto identitario che lega i tifosi allo stadio".
A tracciare le linee guida che sono state seguite in fase di ri-progettazione del vecchio Friuli, per poi spaziare a 360 gradi sul tema degli stadi in Italia e in Europa, è stato il "papà" della copertura a diamante dello stadio dell'Udinese, Marco Casamonti.
"La ristrutturazione dello Stadio si è concentrata su un'idea di forza, di lunga durata. L'ispirazione viene dal Palazzo dei Diamanti di Ferrara - ha affermato Casamonti - un edificio che esprime il concetto di potenza che anche il Patron Pozzo mi aveva chiesto di ricalcare. Udine rappresenta un modello di operatività ed efficienza di grande valore, soprattutto per come si è deciso di intervenire sulla struttura: abbiamo voluto renderla più moderna mantenendo l'identità dello stadio, con il grande arco e la tribuna centrale. La copertura in acciaio, tra l'altro realizzata con aziende locali, ci ha permesso poi di rendere ancora più iconica la nuova Dacia Arena. Credo che questo sia uno stadio contemporaneo che rispetta i criteri di un edificio moderno, tra i quali c'è anche quello di essere vissuto tutti i giorni dell'anno come un luogo di incontro tra persone. L'esperienza maturata qui a Udine mi ha permesso di approcciarmi allo stesso modo ad altri progetti che stiamo seguendo, come quello del nuovo stadio di Tirana. Il grande gap che ci troviamo a scontare con altri paesi sono i tempi della burocrazia, troppo spesso legati a impedimenti di natura politica. Non può essere che i tempi di approvazione per un progetto superino quelli della sua realizzazione fisica".
Marco Casamonti si è poi soffermato sulla situazione italiana spiegando che "il dibattito sul tema degli stadi adesso è grande: basti pensare a due casi emblematici come quello del Franchi di Firenze e quello del Meazza a Milano. La mia risposta ai giornalisti che mi chiedono un parere è quella di imparate da Udine. Credo che sia necessario agire con intelligenza e con buon senso: lo Stadio di Firenze è un monumento e come tale va salvaguardato, ma per fare ciò va vissuto, abbandonarlo non è un buon modo per salvarlo. Renderlo più funzionale e fruibile, avvicinando ad esempio il pubblico al campo, invece sarebbe un modo per rilanciare anche la squadra. La nuova proprietà viola sembra voler percorrere questa strada e c'è stata anche recentemente un'apertura della Sovrintendenza.
A Milano il discorso è un po' diverso, perché lì le partite si vedono bene, non a caso è detto la "Scala del calcio" ed è pensato proprio per questa funzione. E' stato fatto però un passo avanti nel dibattito: inizialmente si era pensato di spostare lo stadio fuori dalle zone abitate salvo poi accorgersi che, sia per una questione di collegamenti che di "vivibilità" dell'edificio, la scelta migliore sia quella di mantenerlo all'interno della zona urbana. Si pensa però che abbattere il Meazza per ricostruirlo da zero possa essere più economico e più facile: è vero solo in parte perché costruire da zero ha dei vantaggi evidenti, ma se ci soffermiamo sul carattere dell'eco-sostenibilità della demolizione e su quello della monumentalità dello stadio, la bilancia pende fortemente dalla parte di una ri-qualificazione del vecchio impianto. Va assolutamente fatto uno sforzo anche per mantenere il rapporto identitario che lega i tifosi allo stadio".